Renato
Spagnoli
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l’artista
in mostrA
interventi critici
Acquasanta
Terme 1971
Foto Alfredo Libero Ferretti |
BRUNO D’AMORE
Presentazione in catalogo mostra
personale Pinacoteca Comunale, Macerata 1981 Senza riferimento semantico Un facile e scontato connubio lega l'arte degli ultimi decenni al
rifiuto da più parti avvertito e fattosi evento generale dell'iconicità, se
non in quegli stessi linguaggi formali che hanno fatto dell'iconicità
intrinseca una questione puramente indicativa, ma caratterizzante. Connubio scontato, se si pensa che il rinvio semantico
dall'oggetto d'arte all'oggetto dell'oggetto dell'arte (il «reale») è da
tempo l'oggetto stesso di cui si occupa il linguaggio dell'arte. Di più,
proprio questo rinvio è l'arte in diversi casi. E' allora sconcertante apprendere che l'arte si serve di falsi
rinvii semantici, in quanto non ha valore-interesse-potere rappresentativo,
ma solo valoreinteresse-potere autoespositivo; dunque, si serve dei rinvio
semantico come di un'apparenza, come di un'annotazione a margine, addirittura
come di un mezzo di confusione, di ambigua lettura, di spaesamento, di
dislocazione rispetto alla lettura «vera», quella nascosta detro il paravento
della rappresentazione, rappresentazione che l'osservatore ingenuamente cerca
ancora, irretito com'è dalla critica storica a cercare ispirazioni, modelli,
idee, riferimenti, narrazioni o quant'altro. Diventa così tipico il lavoro di questo Renato Spagnoli, nel
quale da molti anni il riferimento semantico è così ridotto, abolito,
mascherato e contraffatto, che neppure il lettore-interprete più fedele alla
interpretazione classica può cadere nell'errore di attribuire alla lettera A
qualche potere semantico particolare, qualche metariferimento ancestrale,
qualche antropologica vis... Dopo aver guardato un po', anche solo sommariamente,
è chiaro e subito evidente che quella A è nullasignificante, nulladicente, in
se stessa aperta e chiusa, significativa quel tanto che basta per essere
scelta, né in quanto prima, né in quanto vocale, né per altri motivi. Vuoi la
simmetria, vuoi la ricorrenza, vuoi la riconoscibilità, il gioco sulla A
avrebbe potuto essere gioco su un oggetto quasiasi, meglio se formale, se
disambiguo, se privo di connotazioni interpretative. Ecco perché A e non una figura dei reale; ecco perché A e non un
oggetto concreto, una parola. A o una cifra. A o un segno logico. A o un
suono. A o un fonema qualsiasi. A. Su questa facile struttura, Spagnoli codifica. ma non discorsi,
interventi, significazioni; bensí solo altre strutture, pittoricamente ma
pure geometricamente parlando, utilizzando da tempo prospettive,
ribaltamenti, sezioni, simmetrie, omotetie, similitudini, affinità, tutte
trasformazioni geometriche che egli colloca intuitivamente sullo sfondo della
creazione artistica, più che dei rigorismo formale, anche se ogni risultato
ogni ope. a, ogni tavola finisce con l'essere rigorosa, formale, strutturata. Icone o segno libero? Questa A, sempre ravvisabile, fa da
legame, da segno distintivo, collega, allaccia, ma anche riassume in sé
un'enorme varietà di situazioni pittoriche ben diverse, nell'ambito delle
quali Spagnoli si è mosso e si muove. In realtà, questo apparente legame, data la sua fragile
consistenza significativa, ancora di più mostra la validità dei discorso
iniziale, di un'arte in se stessa riferita e conclusa, di un'arte che ha con
l'esterno il solo riferimento metastorico che la vuole arte e non altro... L'immagine che Spagnoli dà alle sue costruzioni è mutevole e
allo stesso tempo identica, quindi riconoscibile. Da una parte, il frequente
ricorso alla serialità, al motivo decoratore, alla ripetizione, alle diverse
scritture tipografiche (immagini dello stesso oggetto linguistico solo
convenzionalmente equivalenti). Da un'altra parte, lo spaesamento, lo
spezzettamento la frantumazione, la ricollocazione ambigua e movimentata
delle parti nelle, quali ha sezionato la sua figura; ogni volta, l'occhio, periscopio dell'intelligenza visiva, cerca
affannosamente di ricomporre la figura, di ritrovare ciò che s'attende, quel
segno A che si sa essere dominante, ma che sfugge alla prima analisi,
perdendosi ambiguamente tra le mille fratture che lo nascondono, tra le
trasformazioni alle quali Spagnoli l'ha fatto soggiacere. Da un'altra parte,
infine, vanno collocate le grandi A create su prospettive complesse; l'angolo
diedro di due pareti, l'angoloide formato da tre pareti reggono fili tenuti
tesi, all'apparenza semplici linee segmentate. Ma la ricerca, affannosa e
costante, ricomincia subito: si sa che va trovata la forma dominante, quel
segno distintivo, elementare, insignificante ma presente perennemente.
l'occhio cerca, guida il corpo, passi indietro, avanti, di lato, finché non
s'avverte finalmente che si tratta di un'invenzione prospettica. L’A c'è, ma
è celata dietro una difficile prospettiva, lontana, inimmaginabile sul
principio. Solo un punto della sala, accessibile ma misterioso, permette di
ritrovare l'origine, il tema dominante, il segno. Una sorta di gioco tra Spagnoli ed il suo pubblico, una sorta di
ricerca di equilibrio pittorico, una riappropriazione dei segno elementare
come fatto primevo, ridondante, ma sicuro. D'altra parte, quali caratteri distintivi possiede oggi
l'artista per firmare la propria opera? Quali emblemi, segni, marchi sono
quelli ai quali ricorre? Va da sé che, persa l'occasione di permeare l'opera con il
«marchio del genio personale», di rinascimentale memoria, non resta che
caratterizzare l'opera con segni distintivi non occasionali. Il materiale non è segno distintivo, vista la grande
disponibilità di tutti a procurarsi materiale d'ogni sorta. Il formato pure
non io è. Né il colore, il segno, il temperamento, il disegno, la grafia, ...
Ognuno ha la sua ricorrente analogia; un particolare segno, l'identica
funzione simbolica il richiamo continuo, sono tutti possibili marchi. Spagnoli ha la sua A. La ritroviamo angosciante e stereotipata,
ampia ed evidente, secca e fragile, prorompente e nascosta, disegnata e
immaginata dietro altri rilievi emergenti, sempre comunque presente. E' chiaro che un siffatto linguaggio deve rinunciare, per essere
chiarificato e compreso, proprio al suo carattere più emergente. Sì, la
presenza di un segno distintivo va evidenziata, ma deconnotata proprio
rispetto a quel segno. Occorre studiare ed emettere la liaison preminente, ma
privandola proprio dell'anello (meglio: dei suo apparente significato più
emergente), per non correre il rischio di confonderne i livelli. In questo caso, fatti linguistici emergenti sono solo le
strutture pittoriche e non le ricorrenze sopra sottolineate. Strutture
pittoriche d'una precisione e d'una pulizia, d'una puntualità e di una
sicurezza, di una leggibilità e di una godibilità tali da non lasciare spazio
né ad incertezze sui contenuti, né ad interpretazioni geometriche o astratte.
Siamo di fronte ad uno strutturale sui generis, dei tutto formale,
disambiguo, lucidamente freddo. Anche il tipo di materiale dimostra la ricerca logica più che
quella emozionale, anche quando il materiale diventa, come nel caso delle A
sulle pareti, intonaco, aria, filo nero. Alla facile tentazione della figura, alla meno facile ma più
dissuasiva tentazione dei geometrico in sé, Spagnoli sembra rispondere con
una linea personale di accettazione dell'analisi afigurale ma non a-semica,
aniconica solo quei tanto che basta per non rivelare o far trapelare
discorsi, fredda, precisa, calcolata quei tanto che occorre per dare
all'analisi stessa la serietà che una simile scelta ovviamente si presume che
abbia. Bruno D'Amore |
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