Renato
Spagnoli
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l’artista
in mostrA
interventi critici
Acquasanta
Terme 1971
Foto Alfredo Libero Ferretti |
ELVERIO MAURIZI
Presentazione in catalogo mostra
personale Pinacoteca Comunale, Macerata 1981 Renato Spagnoli, la dialettica
dell'alfabeto Da molti anni posseggo un multiplo di Renato Spagnoli, di quelli
ad alta tiratura e a basso prezzo di vendita, la cui ricchezza dialettica,
tuttavia, appare inversamente proporzionale rispetto al costo relativo. UYAO
dei 1968 è un oggetto di metacrilato, serigrafato e piegato a fuoco,
emblematico riguardo alla produzione complessiva dell'artista livornese, il
quale, nell'analisi su più piani dei simbolo alfabetico, evita relazioni con
la "scrittura", intesa come corrente di ricerca pittorica e
grafica, preferendo dirigersi verso quelle risultanze visive, capaci di
trarre dal semplice segno valenze diverse dal consueto e tanto più significative,
quanto maggiormente si tenti di interpretarne l'insieme compositivo. In realtà, l'uso con effetti speculari, soprattutto della
lettera "A", l'allusione insistente a un contesto rappresentativo,
reso con una sobria cromìa, e la vibratilità della costruzione
ottico-percettiva suggeriscono nella dinamica formale delle opere assunti
illusori che invitano a esaminare i frammenti pittorici quale sutura, sia pur
soltanto mentale, tra il razionale e il ritmo di un quotidiano immanente
profondamente nel tempo e nello spazio dati. Il proporre, insomma, attraverso
la sovrapposizione delle trasparenze plastiche, cadenze variabili, persino
con il mutare di posizione d'osservazione, definisce, così osserva anche Lara
Vinca Masini (1), "in una scansione tridimensionale,
l'operazione suggerita bidimensionalmente" dal fatto pittorico,
richiamando indirettamente quei principi avanzati da tempo in Italia, ad esempio,
dalle teorie del Fotodinamismo futurista di Anton Giulio Bragaglia,
pubblicate nei lontano 1911. Ritengo necessario, dopo queste premesse, riprendere l'opinione
di Germano Beringheli (2) dove si precisa la presenza, nel lavoro
di Spagnoli, di una "istituzionalizzazione morfologica", indicativa
di una spazialità definita, "nella sua essenzialità plastica, secondo
una osmosi delle componenti positivo-negative, capaci di enucleare... i
rilievi dei processo formativo". A me sembra, infatti, che tali concetti
debbano essere ulteriormente approfonditi, soprattutto nella loro sostanza
ideologica. Nei lavori dell'artista livornese, dal Messaggio A9 del 1964,
dove le varie interpretazioni tipografiche della A evidenziano una
ossessività dichiarativa dell'impianto grafico, a 3D4 e a 3D6, di poco
successivi, dove la ricerca di rilievo e profondità assume funzione provocatoria,
capace di astrarre dall'immagine le incidenze della strutturazione sul
supporto, si nota un inaspettato sottolineare le problematiche urgenti e
l'insorgere di correlazioni sempre più anonime e standardizzate, finalizzate
alla evidenziazione del lavoro pittorico in sé riguardato. Renato Spagnoli, in altri termini, esplicitamente denuncia le
influenze della lezione costruttivista, dimostrando, tuttavia, di viverla in
chiave molto più attuale e, comunque, sintomatica della propria specifica
volontà di travalicare le apparenze compositive e il fatto decorativo, in sé
considerato, per approdare a una esaltazione della potenzialità
plastico-cromatica dell'insieme. E' nell'Ambiente del 1968, in 7032 del 1970,
ma specialmente in 7102 dei 1971 che risulta evidente quanto la particolarità
della ricerca esuli dal sentimentale per aprirsi all'artificiale e al
tecnologico allo scopo di sottolineare l'oggettualità della rappresentazione.
In un certo senso, l'artista suggerisce una serie di fattori, facilmente percepibili
nelle opere, in grado di rispecchiare la problematicità dei rapporti tra
l'autore stesso e il reale, quasi per verificare la corrispondenza tra verità
razionale e situazione esterna. Non mi sembra casuale, in verità, che Renato Spagnoli usi una
ossessiva applicazione metodologica come strategia di sostegno per un
programma di lavoro, studiato quale momento agglutinante dei quotidiano e
come riflesso di una mondanità confinata più nell'universo delle idee che
nella vita. La ripetizione "ossessiva" dei segno, ridotto a una
essenzialità quasi alienante nella costruzione pittorica, corrisponde alla
esigenza di una comunicazione che ignora la banalità pur utilizzandola come
mezzo espressivo. Le possibilità dialettiche acquisite con l'esercizio
artistico e con la sperimentazione continua sui materiali, l'impatto
percettivo del simbolo, l'indagine razionale dei fonema e la conseguente
suggestione, emergente dalla fruizione emotiva dell'evento pittorico,
sollecitano una varietà di rimedi che sembra giustificare la conseguente
semplificazione dei discorso. La rarefazione della presenza alfabetica, che
appare tanto meno ossessionante, quanto più significante, va allora
riguardata non solo come fatto aggregazionale dei complesso dei grafemi,
quanto come cassa di risonanza degli assunti formali e cromatici sottintesi
ed espliciti. Mi piace, perciò, ricordare opere quali 7035 [7305 Ndr] del
1973, un acrilico su legno e metacrilato, dove la "A", nel
sovrapporsi, nello spezzettarsi, nell'incastro continuo, modella tracciati
geometrizzanti che in una alternanza di pieni e di vuoti avanza immagini di
ambigua decifrazione e scandisce nello spazio un tempo impalpabilmente
sfuggente. Ancora di più mi sembra di leggere tale ambiguità di sottofondo
nel rilievo in alluminio 7428 dei 1974, dove le connessioni positivo-negative
situano il tema plastico nell'ambivalenza organica dei metallo che assorbe e
respinge la luce, stimolando ed eccitando nella costruzione iconologica le
pulsioni suggerite dagli spigoli, dai parallelogrammi, dai triangoli,
invocando una specie di smania eversiva, tendente a nullificare
l'identificazione della lettera, preferendo soffermarsi sugli oggetti e sulle
cavità che interagiscono con evocazioni apparentemente insondabili, ma dense
e corpose nella loro simmetria e persino nella loro asimmetria. I segni, le
linee, le porzioni di spazio, che con le loro connessioni, relazioni e
costanti evocano echi complementari, riferimenti e attese psicologiche,
invocano la sospensione dei giudizio quale ultimo atto di un modo rinnovato
di osservare l'arte. In tale dimensione mentale si maturano diversi principi,
momenti intensi che non presentano addentellati con un consumismo di maniera,
ma provocano una ricerca in profondità sulla semiologia dei segno, sul
significato dei significante, sull'opportunità di continuare in un'analisi
sempre più oggettivatrice dei fatto artistico. Nella sofisticata suggestione
che, in nome della demistificazione dell'arte, suggerisce la rarefatta
perfezione dei prodotto come modello, si esaurisce l'architettura delle
strutture, ormai prive di giustificazione etica. Si avverte, tuttavia, la
possibilità di sviluppo evolutivo della ricerca, sempre più considerata non
solo come manifestazione intellettuale, ma anche come qualcosa capace di
contribuire alla crescita culturale dell'universo artistico. Il segno-oggetto, definito da Lorenza Trucchi,
"duttile" diviene, come scrive Luigi Lambertini (3)
"un rimando categorico, privo per giunta di quell'apertura fantastica e
fantasiosa" che anima molte tele di Lucio Fontana. Bisogna aggiungere,
però, che la modulazione delle forme riprende problemi strutturali, supera
gli equilibri spaziali e assume una musicalità rarefatta, declinante in una
specie di raffinato purismo la enfatizzazione dei simbolo. La tendenza a depurare
le esigenze motivazionali di quel tanto di progettuale che postulerebbe,
all'insegna di una sempre vigile attenzione, la presenza programmata di una
tecnologia sempre più assorbente, include negli elaborati gli elementi di una
maturazione artistica, temperante le asperità investigative. Si suggerisce,
in altre parole, la concretezza degli obbiettivi nell'astrazione delle
manifestazioni, quasi che individuare e circoscrivere la ragione del fare
permettesse all'artista di chiarire gli scopi dell'indagine. Smalti su tela, come 7458 dei 1974, o acrilici su legno e
metacrilato, come 7603 dei 1976, escludono la presenza nelle strutture
elementari utilizzate da Renato Spagnoli di ogni monotonia e, anzi, in
quell'"unità di lettura", già individuata fin dal 1978 da Bruno
d'Amore (4) come "oggetto d'ambiente", si ritrova una
preziosa minuzia costruttiva che nella fantasia compositiva esce dal
convenzionale ed evita il pericolo di una riduzione dell'opera d'arte a
semplice episodio concettuale. Il sottolineare il valore globale
dell'esperienza estetica, senza ricorrere al valore liberatorio dei lavoro
artistico, contribuisce ad ampliare la risonanza del discorso, rivelatosi
sufficiente per sollecitare chi guarda a una lettura sempre più oggettiva
dell'evento.. I concetti post-razionali, presenti nel discorso di Spagnoli,
denunciano la fondamentale unità dei percorso culturale, affrontato
dall'artista, il quale ama sottolineare la coerenza dell'indagine con l'uso
insistito della lettera capitale, quasi a dimostrare l'infinità dei contenuti
metaforici sottintesi al singolo lavoro. La "A", insomma, appare,
in effetti, come il principio di un'analisi, in superficie solipsistica,
tuttavia, alludente a una totalità vista quale momento d'arrivo e soluzione
definitiva per le innumerevoli questioni insorgenti dal sistema delle
immagini, facendo balenare una chiave di lettura dove le motivazioni
psicologiche sembrano di sostegno all'operazione pittorica. Lavori, quali 7708 dei 1977 e, soprattutto, Rapporto 4 dei 1978,
vanno al di là della consueta costruzione grafica ed illustrano la funzione
dell'immagine, creando una atmosfera assorbente rispetto agli spazi
circostanti. E' facile, allora, accorgersi di quanto il fatto sensoriale
funga da stimolo per l'autocoscienza, direttamente acquisendo dall'esperienza
visiva gli elementi di un linguaggio intellettualmente proiettato verso
dimensioni non solo fisiche, per di più vivacizzando, direi anche
ironicamente, la sigla e la apparentemente chiusa metodologia dell'insieme.
Gli Studi dei 1979, AP7 e AP10, poco più tardi, riprendono una progettualità
simpatetica che lavori successivi, quali AP8 e APR9, realizzati in nastro
adesivo rosso e nero nella Galleria Peccolo di Livorno, o APR12 inserito, in
occasione della mostra antologica, in un locale della Pinacoteca Comunale di
Macerata, riecheggiano, trasformando il mito di una ambientazione statica in
una dimensione mentale assai più dinamica. Nell'ambiguità semantica e sintattica dell'interpretazione formale,
l'artista modula in maniera diversa lo spazio, incentrando su di esso
l'intuizione di valenze meno usuali delle varie componenti pittoriche,
convinto forse di riuscire a condurre il rapporto artista-opera-spettatore
alle sue estreme conseguenze, quasi cioè alla identificazione delle
aspirazioni individuali con quelle collettive, senza ottimismi nè pessimismi,
in una obbiettiva, anonima pulsione della razionalità. La capacità di usare i
parametri logici, secondo percorsi illusivi e allusivi, quindi, si precisa
come costante nell'indagine di Renato Spagnoli, il quale, allargando i propri
interessi evita di cadere in una circolarità sterile e si proietta verso
l'universo esterno, dimostrando un'inesauribile capacità di acquisizione e
diffusione culturale. Ciò è sufficiente per definirlo. Elverio Maurizi gennaio 1981 NOTE (1)
Lara VINCA MASINI, Renato Spagnoli, Presentazione in catalogo per la mostra
personale, Galleria AL 2, Roma, 1970. (2)
Germano BERINGHELI, Renato Spagnoli, Presentazione in catalogo per la mostra
personale, Galleria AL 2, Roma, ottobre 1972. (3)
Luigi LAMBERTINI, Renato Spagnoli, Presentazione in catalogo per la mostra
personale, Galleria Qui Art Contemporanea, Roma, marzo 1976. (4)
Bruno D'AMORE, Presentazione in catalogo per la mostra personale, Galleria,,
Il Diagramma 32" Napoli, 1978. |
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