Renato
Spagnoli
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l’artista
in mostrA
interventi critici
Acquasanta
Terme 1971
Foto Alfredo Libero Ferretti |
GIOVANNI M. ACCAME
Renato Spagnoli, opere
1961‑1963 Uno dei momenti determinanti
della storia recente dell'arte italiana è compreso negli anni tra il 1959 ed
il '62. In questo periodo intenso, di grandi mutamenti, si trovano le radici
di quelle differenti posizioni concettuali, che ancora oggi, a trent'anni di
distanza, distinguono la situazione artistica. Proprio in relazione a ciò si
dovrà anche ricordare la complessità degli indirizzi, che si possono
riconoscere in tre principali versanti, suddivisi però al loro interno da
sfumature o diversità che sono molte e spesso sostanziali. Un'area composita, ma ugualmente decisa a un atteggiamento
radicale nei confronti dell'informale, si riconobbe da Milano a Roma, nella
convergenza verso la monocromia. Prima ancora di un indirizzo definitivo, fu
l'urgenza di trovare un'autonomia, un' "area di libertà" (1),
come la definì Manzoni, che condusse un gruppo di artisti all'esperienza dei
monocromo. Che il distacco e il raffreddamento rispetto all'informale, non
significasse l'azzeramento di tutti i suoi valori, ma ne costituisse, in
parte, una sua mutata continuità, è mia ferma convinzione. E' certo comunque
che Manzoni, Castellani, Dadamaino, Bonalumi, Lo Savio, Schifano, solo per
citare i più determinati, vedevano nel proprio lavoro un superamento netto
della poetica informale, nel suo dibattersi esistenziale tra la finitezza
della materia e il permanere dell'essere. Questi stessi concetti sono però
gli stessi che troviamo entro le relazioni tra pensiero esistenziale e
fenomenologico. Con uno stacco più netto dall'informale si muovevamo gli
artisti che diedero vita al Gruppo T a Milano e al Gruppo N a Padova, oltre a
figure più isolate come Mari e Alviani. Le ricerche sul movimento reale e
virtuale, la componente di programmazione e progettualità, la volontà di
indagine sui fenomeni percettivi che li animava, si poneva in assoluta
antitesi a qualsivoglia declinazione emotiva e soggettiva. Il terzo
orientamento si proponeva invece il superamento dell'informale in maniera più
problematicizzata e anche sofferta. La svolta doveva avvenire in un
confronto. La coscienza, presente in questi artisti, che l'informale aveva
significato, tra l'altro, un superamento della contrapposizione
astratto-figurativo, li poneva in una situazione di vigilanza a non
riproporre vecchi schematismi. Non casualmente l'artista forse più amato da
questi pittori fu Arshile Gorky. La sua figurazione è incostante e sospesa,
frammentata nelle forme e armonizzata nelle atmosfere. Questa immagine aperta
e metamorfica, suscettibile di continue relazioni, fu per molti la via verso
nuove esperienze (2). Il caso di Renato Spagnoli si precisa e trova una propria
collocazione in questo variegato contesto e in questi stessi anni. Alcuni
lavori dei 1961 indicano lo sforzo di conciliare una matrice razionale ed
europea, con forti spinte di carattere emozionale che si riconoscono nelle
pratiche gestuali tipiche dell'action painting. E qui sicuramente è Franz
Kline il modello che più colpisce l'artista livornese. A conferma di ciò vi è
la Biennale di Venezia dei 1960 che Spagnoli visitò e in cui poté
direttamente vedere, nel padiglione americano, dieci importanti opere di
Kline, riassuntive dell'ultimo decennio di lavoro e anche di vita, dato che
l'artista morì appena due anni dopo la sua presenza veneziana, senza quasi
più lavorare a causa della sua malattia. Quella stessa Biennale, come ho già avuto modo di approfondire
in altra occasione (3), resta anche una delle più significative
dei dopoguerra e si può comprendere l'impressione che lasciò in Spagnoli,
oltre la presenza dei prediletto Kline, quelle di Hofmann, Guston e la
straordinaria rappresentanza italiana con Vedova, Scanavino, Burri, Consagra,
Leoncillo, Dorazio, Moreni, Romiti ecc. Nelle opere dei '61 è dunque il largo, forte segno nero a
dominare la composizione; composizione che, appunto, tende a comporsi in una
più rigorosa, strutturata immagine, vicina a quei bianchi e neri di Kline
dove l'impianto ha una tensione maggiormente equilibrata. Dell'americano viene recepito l'aspetto costruttivo dei gesto e
dei segno, la drammatica perentorietà dei nero, che vengono sviluppati in
forme più nette, scandite e piegate a una componente razionale. "ST/10" è uno dei lavori, in questo senso, più
costruito e attento a ricavare spazi interni, a scandire ritmi ravvicinati e
stringenti. Luogo ossessivo di spazi chiusi, dirige la propria riflessione ai
rapporti tra una concezione totalmente astratta e una realtà esistenziale e
fenomenica. Strutturalmente più aperte e, in qualche modo, anticipatrici dei
futuro interesse per l'alfabeto quale fonte inesauribile di ispirazione, sono
invece opere come "ST/7" e "ST/8", l'apparizione di una A
(4), lettera poi preferita e predominante, si sovrappone alla
possibile lettura di una F e una K, non troppo cifrato omaggio all'artista
amato. Ciò che più ci interessa è comunque l'articolarsi, in questi lavori,
di una costruzione che si fa essenziale, che cerca di controllare la
superficie con un numero minore di segni, utilizzandone il forte impatto e
non la quantità, che, ancora, oscilla tra gesto e struttura. E’ la struttura a emergere chiaramente nello sviluppo di questa
esperienza. Spagnoli abbandona la componente gestuale e rafforza la tendenza
costruttiva. Con una felice intuizione però: non si chiude in una geometria
asfittica, non rende tutto regolare e perpendicolare. Mantiene in realtà
l'imperfezione che era dei gesto, traducendola in trasgressione all'ordine
strutturale. E’ quindi una geometria trasgredita, memore dei gesto da cui
discende, che diviene protagonista dei lavori eseguiti nel 1962. Si dovrà anche ricordare come vi sia, a questo proposito, una
tradizione toscana rilevante. Mi riferisco ad artisti di grandissima qualità
come Nigro, nato a Pistoia e vissuto a Livorno prima dei suo definitivo
trasferimento a Milano, ma anche, a partire dal '47, al gruppo "Arte
d'Oggi", poi divenuto "Astrattismo classico" nel 1950, con il
manifesto redatto da Ermanno Migliorini e firmato da Vinicio Berti, Bruno
Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi, Mario Nuti. Sebbene il lavoro di Spagnoli si ponga su un diverso piano e
abbia scarse analogie formali con quegli artisti, è la componente razionale
associata a una dichiarata tensione espressiva che mantiene la possibilità di
un rimando (5). Rimando che potremmo sicuramente allargare, in una
indagine più ampia, sia ad alcuni protagonisti romani di Forma 1, che dei
M.A.C. milanese. E’ questa, della compresenza tra elementi astratto‑geometrici
e di più libera espressività che poi origina un diverso ordine formale, un
dato saliente degli anni Cinquanta in Italia. "ST/20" dei 1962 è, ancora, un bianco e nero teso e
assoluto, nella doppia croce scandita con forza e senza ulteriori elementi superflui.
Un grande segno che si alza di fronte a noi, ma con l'andamento irregolare e
non privo d'inquietudine che distingue queste opere. L'idea di prosecuzione,
di possibilità di ulteriori sviluppi o di appartenenza a più ampie strutture,
fa di questo come di altri lavori, il particolare indicativo di un intero
sistema. Anche "ST/25" dello stesso anno, ci appare come frammento,
una parte di un tutto che è tanto struttura concettuale, quanto filtro di una
realtà più concreta e quotidiana. Dove è appunto quest'ultima a togliere pure certezze alla
componente razionale e a immettere un'inquietudine che è della ragione
contemporanea, dove prevale l'incertezza e la gerarchia dei valori ha diverse
connotazioni. Il 1962 è l'anno centrale entro cui Spagnoli svolge
compiutamente l'esperienza di questi macro‑segni, quasi tutti i lavori
si muovono sulla linea dei due citati, con risultati egualmente di sicuro
rilievo, come a esempio "ST/24" e "ST/10". In alcuni
altri, invece, la struttura appare più diramata, con una perdita, a mio
parere, di incisività. Si appesantisce, in questi casi, quell'equilibrio
instabile che è la caratteristica e la qualità degli altri. Questa ricerca si esaurisce nel 1963, che però ci offre ancora
alcune interessanti opere su tela come "TB4", vicina alle prove
dell'anno precedente, con una cupa ed efficace disarmonia condotta sul filo
della pittura di superficie e di contraddittorie indicazioni prospettiche. Diversa è invece la tela "T.12.63.4", per un deciso
spostamento verso figure più lineari e memori di grandi lezioni storiche,
Malevich in particolare. Anche in questo caso però Spagnoli sfugge a ogni
rigida certezza della ragione, all'idea di una sola regola e di un solo
ordine. Sono infatti due le figure che occupano la superficie: nera la prima,
dominante, e grigia l'altra, più arretrata. Ma è questa seconda che carica di
significato la prima figura e l'intera composizione, perché qui avviene lo
sdoppiamento, la possibilità seconda, l'incertezza di una ragione moderna che
pensa su più ordini. Queste caratteristiche, che non hanno mai lasciato il lavoro di
Spagnoli, le ritroviamo, con evidenza e con una certa consonanza alle tele
dei '63, nella recentissima produzione. Tele e tavole dipinte in nero e
grigio o nero su nero, sempre condotte sul doppio livello di lettura, sempre
costruite sull'idea di frammento. Tre anni, dunque fondamentali quelli dal
1961 al 1963, che restano il perno concettuale, oltre che la matrice
compositiva, su cui poi si è costruito un percorso trentennale. Giovanni M. Accame Settembre 1989 Note
1) P.
Manzoni, Per la scoperta di una zona di immagini, ora in G. Celant, Piero Manzoni, Prearo editore,
Milano 1975. 2) Una
mostra significativa, per questa situazione, resta quella che si tenne nel maggio
1960 all'Attico di Roma. Curata da Crispolti, Sanesi, Tadini,
"Possibilità di relazione" vedeva presenti artisti che avrebbero
preso strade diverse come Adami, Aricò, Bendini, Pozzati, Romagnoni, Ruggeri,
Scanavino, ecc. 3) G.
M. Accame, Scanavino. Evocazione e
presenza, cat. Museo Villa Croce di Genova, Edizioni Mazzotta, 1987. 4) E'
curiosa la convergenza verso la lettera A in rapporto a Kline tra l'epoca
citata di Spagnoli e, in data 1962, il quadro di Schifano "Murale Grande
n. 1, a Franz Kline". Opere che nulla hanno in comune formalmente, ma
che si ritrovano nell'omaggio allo stesso artista e alla stessa lettera.
Nell'ambito di questo discorso è poi da ricordare la lunga serie di opere, in
bianco e nero con lettere, numeri e parole, di Kounellis dal 1959 al '65. 5) Tra gli artisti ricordati sono in particolare Mario Nigro e
Vinicio Berti ad avere queste caratteristiche. In relazione a ciò si veda il
recente catalogo da me curato Mario Nigro, Opere 1948‑1955, Palazzo Municipale, Monterone, 1959. |
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