Renato
Spagnoli
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l’artista
in mostrA
interventi critici
Acquasanta
Terme 1971
Foto Alfredo Libero Ferretti |
LUCIANO CARAMEL
Dalla pittura, nell'immagine,
tra progetto ed espressione M'aveva colpito, in passato, il richiamo che Renato Spagnoli era
solito fare, nelle scarne note biografiche pubblicate nei cataloghi delle sue
personali, alla Biennale di Venezia dei 1960. Quell'esposizione, si leggeva,
aveva dato una svolta decisiva al suo lavoro. E m'ero ripromesso di
chiedergli cosa l'avesse così interessato. Tanto più che non trovavo nessi
apparenti tra la sua ricerca, già nella prima metà degli anni Sessanta, e
quanto, a memoria, mi sembrava si fosse visto in quell'occasione ai Giardini.
Riprendendo la penna per scrivere di nuovo dell'artista, quella curiosità mi
s'è ripresentata e sono andato a sfogliare il catalogo della rassegna.
Ebbene: c'erano Fautrier e Dorazio, ma non credo che sia nata di lì la
scintilla che ebbe a stimolare Spagnoli. Né, penso, dovettero primariamente
coinvolgere il giovane toscano un Lardera o un Consagra, uno Scanavino o un
Afro, o un Burri. Maggior profitto, forse, gli poté venire dalla mostra storica
dei futurismo, con Boccioni, Carrà (anche quello dei collage Manifestazione
Interventista, con il protagonismo della scrittura dinamicamente assemblata)
e soprattutto Balla; e inoltre da Magnelli, da Moreni, da Vedova. Ma ciò che
probabilmente più lo emozionò fu la forte pittura segnica di Franz Kline
presentata dagli Stati Uniti; e con questa anche certi rapporti tra figura e
fondo dei belga Antoine Mortier e dello stesso nostro Chighine, che aveva
dipinti a larghe campiture che dialogavano in un disteso, palpitante
interrelarsi di piani. Ne ho trovato conferma nei lavori di Spagnoli dei 1960‑61,
poco noti perché schiacciati, e quasi spazzati via, dalla monomania per le
composizioni fondate sulle lettere che subito prenderà il pittore, che ha
indotto anche me a trascurare in passato questi incunaboli, invece rilevanti.
E non tanto intrinsecamente (si tratta palesemente di studi, in funzione d'un
nuovo aggiustamento dei tiro), quanto per la conoscenza dei meccanismi che
hanno attivato i modi più tipici dell'artista e per una migliore comprensione
delle opere più mature. Ebbene, in quelle pitture spiccavano perentorie
strutture scure che si stagliavano sulla superficie chiara, con evidenti
finalità insieme architettoniche (anche per l'ampiezza dei dipinti, e quindi
dei segni che li scandivano) ed espressive. Già peraltro, alla luce di quanto
verrà, si poteva avvertire l'affiorare, nel l'organizzazione delle barre di
colore, di vere e proprie lettere, e in particolare della 'A', risultato
dell'appuntarsi sulle diagonali e sul loro incontro, non ancora obiettivo
presupposto, dato pregiudizialmente. Ed é conferma ulteriore della partenza
tutta interna alla pittura, ai dati specifici della visione della ricerca di
Spagnoli sull'alfabeto, sottolineata fin dal 1970 da Lara‑Vinca Masini.
"Spagnoli infatti", scriveva la studiosa, "a differenza di
altri operanti nel campo dei 'segni' simbolici, non li ha acquisiti
attraverso la letteratura e la poesia, non li ha recuperati, almeno
intenzionalmente, in senso analogico. Egli ha sempre teso a tradurre
visivamente, concretamente, e non foneticamente, i 'segni' stessi nella loro
carica espressiva formale, nell'ambito della visualità, al di là dei loro
riferimento fonetico e quindi, alla fine, al di là dei loro significato analogico".
Coi che, concludeva con piena adesione alle intenzionalità vere, e ai
risultati, dell'artista, Spagnoli opera "uno spostamento di collocazione
dei segni stessi che vengono riproposti come 'sigle emblematiche e di volta
in volta verificati nella loro nuova valenza espressiva, 'oltre' il
significato simbolico primario". Pertinente, in particolare, il richiamo
insistito all'espressività che in quelle prime tele è del tutto scoperta, e
che il pittore poi raffredda progressivamente, lungo il 1962 o con l'adozione
di incontri ortogonali di ascendenza neoplastica (tuttavia con griglie
robuste, con pennellate energiche e con voluta imprecisione nelle linee, che
ancora fanno ricordare Kline) o con la proposizione di nessi segnici molto
ingranditi, anche con il ricorso a diagonali e a percorsi zigzagati, e
inoltre con l'uso di un cromatismo elementare, per lo più limitato al
confronto di due soli colori. Con soluzioni, in quest'ultimo caso, che
Spagnoli ha ripreso nella recentissima sua attività, peraltro con un'oggettività
di stesura e con un rigore di strutturazione di cui allora non c'era traccia.
E' ad ogni modo solo dopo questi avvii che l'artista si dedica tutto alla
ricerca sulle lettere, con esemplare coerenza sistematica, in un continuum,
lungo gli anni, legatissimo, eppure mai monocorde, mai ripetitivo, anzi
sorprendentemente vario e innovativo. E mai, va aggiunto, solo sperimentale, nonostante il rilievo che
coi tempo viene assumendo il momento dei progetto: perchè appunto, in primo
piano nel fare di Spagnoli (e ricorro volutamente a questo termine, per
sottolineare le qualità fabbrili del lavoro dell'artista, al di là di pur
rilevanti valenze concettuali) c'è l'esigenza formativa, nell'ambito
dell'immagine, fuori di troppo pressanti esigenze di significato. Ed è
quanto, tra l'altro, distingue Spagnoli, anche nelle opere più radicalmente
connesse alla scrittura, dalla cosiddetta "poesia concreta", cui
d'altronde egli è almeno tangente. Come già m'è avvenuto di ricordare,
infatti, comune è nei, "concretisti" e in Spagnoli la volontà di
usare i segni dei linguaggio verbale come immagini e di non utilizzare
commistioni di parole e immagini, come invece gli autori legati alla
"poesia visiva". E parimenti comuni sono il privilegiamento assoluto degli
elementi visuali ‑ spaziali, compositivi ‑ grafici, su quelli
sintatticolinguistici, l'intenzionalità oggettivante, il rigore strutturale.
Comune, infine, almeno con i “concretisti" europei, come un Gomringer, è
l'aggancio alla tradizione razional‑costruttiva. Mentre assolutamente
non coincidente sono l'ascendenza letteraria (da Mallarmé ad Apollinaire a
Marinetti), nel concretismo vero e proprio essenziale, ed i conseguenti
obiettivi linguistico verbali (e fonetici), oltre che visuali. Assente in
particolare, in Spagnoli l'attenzione per le componenti semantiche,
rilevanti, spesso, nel coneretismo, e sempre non ininfluenti, anche quando
siano poste per essere deviate o contraddette. L'interesse, in Spagnoli, è
tutto per il significante. Ecco, quindi, non solo l'accantonamento di
grammatica e sintassi, ma il riferirsi alla lettera piuttosto che alla
parola, inevitabile veicolo, questa, di significato, mentre la prima, grado
ultimo di segmentazione della catena verbale, porta di necessità, come scrive
Pignotti, a lasciar "dietro di sé ogni preoccupazione di natura
semantica per rivolgersi decisamente alla considerazione dei materiali dei
linguaggio stesso", e quindi all'elaborazione di rapporti solo visivi.
Il che è ulteriormente accentuato dalla scelta privilegiata di un'unica
lettera, che impedisce il rimando a qualsiasi significato estraneo alle
soluzioni visuali. "Neppure il lettore‑interprete più fedele
all'interpretazione classica", ha notato al proposito Bruno D'Amore,
"può cadere nell'errore di attribuire alla lettera A di Spagnoli"
qualche potere semantico particolare, qualche metariferimento ancestrale,
qualche antropologica vis... Dopo aver guardato un po' anche solo
sommariamente, è chiaro e subito evidente che quella A è nullasignificante,
nulladicente, in se stessa aperta e chiusa, significativa quel tanto che
basta per essere scelta, né in quanto prima, né in quanto vocale, né per
altri motivi". E allora, "su questa facile struttura",
conclude d'Amore, Spagnoli ,.codifica, ma non discorsi, interventi, significazioni;
bensì solo altre strutture, pittoricamente ma pure geometricamente parlando,
utilizzando prospettive, ribaltamenti, sezioni, simmetrie, omotetie,
similitudini, affinità, tutte trasformazioni geometriche che egli colloca
intuitivamente sullo sfondo della creazione artistica, più che dei rigorismo
formale, anche se ogni risultato, ogni opera, ogni tavola finisce con
l'essere rigorosa, formale, strutturata". L quanto soprattutto si vuoi
qui mettere in evidenza, alla luce degli ultimi notevolissimi lavori, nei
quali come sopra si ricordava, Spagnoli riprende certe ricerche svolte nei
primi anni Sessanta. Tuttavia con una capacità di sintesi, di organizzazione
compositiva, ed anche di espressione affatto nuova conseguenza dei lungo
accanirsi sui problemi dell'immagine, nelle sue componenti mentali e fisiche,
progettuali e materiche. La lettera 'A' ‑ già saggiata in ogni
possibile situazione, all'interno dei dipinto e nei nessi con l'ambiente, nel
suo presentarsi prepotente o nel celarsi in criptiche sezioni, per
accumulazione o sottrazione, con sovrapposizioni, slittamenti, tagli ‑
è ancora una volta occasione, punto di partenza di un lavoro sottilmente
analitico e nel contempo carico di suggestioni, misurato e misterioso, per le
scelte cromatiche medesime, così attuite, in genere. e profonde, e per le
inedite cesure che rinnovano la magia, di Spagnoli caratteristica d'una
chiarezza carica di spessore, d'una limpidità che risolve il molteplice in
unità. Luciano Caramel Ottobre 1989 |
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