Renato
Spagnoli
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l’artista
in mostrA
interventi critici
Acquasanta
Terme 1971
Foto Alfredo Libero Ferretti |
BRUNO SULLO
Presentazione in catalogo Casa della Cultura, Livorno 1994 RENATO SPAGNOLI OLTRE LA A L'opportunità di parlare di Renato Spagnoli in occasione di
questa sua mostra livornese mi è preziosa non solo per lo spessore
dell'artista, ma per i valori politico-culturali della sua opera e per il
taglio propositivo, non commemorativo, che egli ha voluto dare all'evento.
Come corrispondere all'impegno? Al di là della lettura analitica dei lavori
presentati, è forse opportuno ripercorrere in rapidi accenni le scelte e le
problematiche dell'artista per delineare la sua personalità di uomo.
Analizzando i vari contributi interpretativi, mi è sembrato, infatti, di
notare una certa carenza in tal senso. L'attenzione è stata spesso rivolta al
tema del rapporto problematico di Spagnoli con la sua città, ai contrasti, agli
scambi, ai non riconoscimenti 1.9 ; la verità è forse più semplice: Spagnoli
non ha particolari rapporti con Livorno, tutto il suo lavoro lo porta fuori,
nel dibattito artistico internazionale, ed è anzi questo collegamento il
contributo che egli, artista che vive e opera a Livorno, offre alla sua
città. Del resto, la prima spinta all'arte gli proviene non certo da
Livorno ma da Venezia (Biennale del 1960), e da un artista statunitense,
Franz Kline. (1)
suoi primi lavori sono caratterizzati da larghi segni neri che si intersecano
tra loro secondo angoli diversi, realizzando una sorta di geometria
trasgredita' che conferma il valore della costruzione, ma conserva traccia
dei gesto da cui nasce. Alcune opere (S.T. 7-61 e S.T. 8-61) adombrano già,
come nota Accame (2)
quella lettera A che sarà poi protagonista assoluta, perfino ossessiva, di
trent'anni di lavoro. Sullasceltadi questo singolare campo operativo, che non ha
uguali nell'arte contemporanea, sul senso di essa, sui rapporti con la
corrente di Poesia Visiva, sulle ascendenze e colleganze con artisti
contemporanei molto si è scritto (3)(4)(5)(6)(11).
lo stesso, nel 1978, ebbi occasione di intervenire` inquadrando Spagnoli in
quella linea analitica che Filiberto Menna ha individuato nell'Arte moderna
da Seurat all'Arte concettuale. In particolare, tra i due aspetti, iconico
(figurativo) e aniconico (astratto) dell'Arte analitica, sottolineavo come
l'artista scelga una terza scomoda via. di integrazione o se si vuole di
ambiguità, che nega qualunque valore semantico attribuibile alla A (e su
questo sono d'accordo la maggior parte dei commentatori"), ma anche
utilizza il fatto che la lettera fa parte di un sistema comunicativo
storicamente strutturato dal quale ricava riconoscibilità e, in qualche modo,
senso. Così è proposto un elegante supporto alle tesi di Umberto Eco secondo
cui -caratteristiche dell'uso estetico di una lingua sono l'ambiguità e
l'autoreflessività"(7). Intomo alla A Spagnoli costruisce un vero universo espressivo,
inizialmente organizzato in incalzanti serie lineari, non prive di emotività,
che si dispongono a coprire tutta la superficie; poi articolato in piani
sovrapposti, trasparenti e semiopachi; infine concentrato in un impietoso
procedimento di blow up con il quale il fonema è spinto fino ai limiti della
leggibilità: metodi diversi, ma tutti tesi a conseguire uno stesso risultato,
la desemantizzazione dei segno. Nel lungo periodo della A, Spagnoli ha introdotto a più riprese
elementi di innovazione. Uno dei più significativi è rappresentato dalla
traslazione, effettuata un po' a sorpresa, dal tableau allo spazio-ambiente,
e ottenuta riversando la A nelle grandi dimensioni e sulle pareti ortogonali
della sala espositiva. Usando nastro adesivo, l'artista disegna delle grandi
A che trascorrono negli angoli diedri delle pareti e dei pavimento,
piegandosi e spezzandosi in modo tale che, però, un osservatore, spostandosi
adeguatamente, riesca a ricostruire la continuità e la "normalità"
grafica del segno. Dunque, l’A si fa A-mbiente, come dice Bruno D'Amore, ma
soprattutto instaura con lo spazio un rapporto dialettico, paritetico, capace
di privilegiare, a seconda dei punti di vista, l'uno o l'altro dei due
interlocutori. La terza dimensione è ormai acquisita: si esprime nei lavori
successivi con l'elemento spessore, inteso in tutta la sua fisicità, che
movimenta la superficie (prima trascorsa solo dagli effetti timbrici del
colore) con aggetti e rientranze, e con il conseguente gioco di luci e di
ombre, vincendo per questo verso la monotonia dei bianco monocromo o le
sottili sfumature del nero. In queste opere la lettera prediletta, la A, è
ormai quasi irriconoscibile. Logico, dunque, eppure sorprendente, il passo
successivo: dopo trent'anni il processo di desemantizzazione viene
completato, e la forma nota è abbandonata in favore di figure geometriche
libere di porsi secondo una loro logica autonoma, basata sulla asimmetria,
sullo squilibrio dei volumi, sui tagli diagonali destabilizzanti. Il tema
dello spessore è ora affrontato in termini decisamente concettuali, con
l'adozione e al contempo la negazione delle regole prospettiche classiche, in
un gioco ironico di errori volutamente commessi, a tradire e anzi denunciare
le ambiguità dei dato visivo. Questo stesso tema si fa diretto in una piccola serie di opere
in cui spessore e fisicità letteralmente trionfano, e che consistono in
solidi geometrici a tutto tondo, da appoggiare sul pavimento, inquietanti
nella loro forma improbabile e sperequata, direi antigravitazionale, eppure
in grado di trasmettere, ancora, il senso di un grande rigore ed equilibrio. Gli ultimi lavori conservano memoria di questa esperienza,
riducendone però e controllandone le spinte estremistiche: si tratta di
grandi collages geometrici, organizzati in un rigoroso disegno, eppure liberi
da costrizioni spaziali, disposti in morbide linee sintattiche, costituiti da
tessere dotate di spessore e di colore, autonome e però piegate a
corrispondere a un generale progetto formativo. Tenendo ben lontana da me qualunque intenzione, e preoccupazione,
assiologica, mi preme, a conclusione dei discorso, sottolineare la spinta
evolutiva, la capacità di uscire dagli schemi, la vocazione rivoluzionaria
(per lo più accreditata ai giovani ma non sempre da essi posseduta), che sono
alla base del più recente lavoro di Spagnoli. Sono valori che trascendono
l'artista e coinvolgono l'uomo, il suo coraggio di mettersi ancora e sempre
in discussione, soprattutto la lucidità con cui sa sfuggire al destino di
molti artisti, anche grandissimi, di finire la propria carriera come epigoni
di se stessi: è il messaggio fondamentale che la mostra ci consegna, e che
credo possa essere di stimolo non solo per i compagni di viaggio
dell'artista, ma per tutti coloro che operano nel mondo cercando di non
soggiacere alla omologazione e alla ripetitività. Livorno, maggio 1994 Bruno Sullo BIBLIOGRAFIA 1. Fulvio Abbate. Renato Spagnoli e Livorno, in
"Spagnoli", Edizioni Roberto Peccolo, Livorno, n. 7, 1989. 2. Giovanni M. Accame, Renato Spagnoli, Opere 1961-1963, in
"Spagnoli”, Edizioni Roberto Peccolo, Livorno, n. 7, 1989. 3. Luciano Caramel, Alfabeto e ambiente. Catalogo della mostra
“Renato Spagnoli, la dialettica dell'alfabeto", Pinacoteca Municipale,
Macerata, 198 1. 4. Luciano Caramel. Dalla pittura, nell'immagine. tra progetto e
espressione. ln "Spagnoli", edizioni Roberto Peccolo, Livorno, n.
7, 1989. 5. Bruno D'Amore. Presentazione in catalogo della mostra
personale alla Galleria “Il Diagramma", Napoli, Dicembre 1978. 6. Bruno D'Amore. Senza riferimento semantico. Catalogo della
mostra "Renato Spagnoli, la dialettica dell'alfabeto", Pinacoteca
Municipale, Macerata, 1981. 7. Umberto Eco. Generazione di messaggi estetici in una lingua
edenica. In "Opera Aperta", Ed. Feltrinelli, Milano, 1962. 8. Filiberto Menna. La linea analitica nell'arte moderna. Le
figure e le icone. Ed. Einaudi, Torino, 1975. 9. Roberto Peccolo. R.S. il rapporto tra un artista e la sua
città. In "Livornosanitaria", luglio 1977. 10. Bruno Sullo. Alla ricerca del presente. Renato Spagnoli. In
"Livornosanitaria", novembre 1978. 11. Lara Vinca Masini. Presentazione in catalogo della personale
alla Galleria AL2, Roma, aprile 1970. |
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