Renato
Spagnoli
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l’artista
in mostrA
interventi critici
Acquasanta
Terme 1971
Foto Alfredo Libero Ferretti |
INTERVISTE - INTERVENTI Intervista
di Roberto Peccolo Livornosanitaria Anno
III n.10 apr.mag.giu
1977 Renato Spagnoli: il rapporto tra un artista e la sua città
D. - Quando e come hai iniziato il
tuo lavoro nel campo artistico? R. - Il lavoro di pittura l'ho
cominciato negli anni 56-57 nel modo tradizionale tipicamente livornese,
comperando sei tubetti di colore, alcune tavolette di compensato, quattro
pennelli e andando poi a dipingere dal vero. Ma nel frattempo avevo anche
incominciato a frequentare le mostre che si svolgevano a Livorno alla Casa
della Cultura, al Centro del Grattacielo da Giraldi, e a Bottega d'Arte. Ti
confesserò francamente che in quel periodo la vista di alcune mostre
«astratte» mi lasciava un po' interdetto, non riuscivo a comprendere, ma non
le respingevo totalmente, pensavo che quegli artisti avessero delle loro
valide ragioni per compiere quel tipo di operazioni come dipingere i quadri
in un modo ancora così poco diffuso a Livorno. D. - Ora che hai descritto questo inizio,
vorrei sapere le ragioni precise per le quali hai abbandonato poi la pittura
figurativa per altri modi di espressione. C'è stata una ragione particolare o
hanno coinciso alcune circostanze? R. - Devo precisarti che io ho fatto
per poco tempo attività come pittore figurativo, infatti sentivo già molta
forte l'influenza di alcuni artisti livornesi astratti, come Nigro, Chevrier
e Marchegiani, oggi tutti trasferiti in altre città. Li sentivo carichi,
preparati, dinamici, attivi e disponibili ad un dialogo costruttivo. Poi ci
sono state alcune circostanze che mi hanno portato a fare la «svolta». Una di
queste è stata la visita alla Biennale di Venezia del '60. La vista dei
quadri di F. Klein, con quelle grandi forme nere così libere. Il dinamismo
gestuale nei lavori di Vedova; e poi Hofmann, Hartung, Soto, Capogrossi e
Fautrier. Mi conquistò anche la grande mostra storico-riassuntiva del
futurismo, che non avevo conosciuto così vastamente. Tutte queste cose mi
lasciarono completamente a terra. Appena ritornato lasciai immediatamente la
pittura figurativa. Mi ero reso conto che questa non poteva più darmi spazi
sufficienti. D. In che senso? R. Nel senso della ricerca, del fare
arte, non solo formale, che i metodi figurativi non affrontano; come il
lavoro sperimentale e di ricerca, nello studio continuo della variabilità
delle forme, della loro componibilità oppure dei valori e dei toni di un
colore. D. - Secondo te quindi ci sono delle
interferenze tra la pittura figurativa e quella cosiddetta astratta. Quali? R. - Quella figurativa fa una
registrazione dei fatti anche se a volte di ottimo livello. Ma a parer mio
non ti permette o meglio non basta per esprimere completamente le tue opinioni su di un problema,
giungerne al fondo e sviscerarne tutte le possibilità in esso implicate.
Questo non significa che tutte le opere astratte siano valide o che tutte le
pennellate date sulla tela in maniera informale o razionale siano valide. D. - Tu hai visto la biennale di Venezia del
'60 e mi dici che ti ha convinto della necessità di una svolta nel tuo
lavoro. Quale differenza hai trovato con la situazione livornese di allora?
Hai trovato qui conferme alla tua decisione? R. - A Venezia ho avuto la conferma
delle idee che cominciavano a formarsi in me attraverso, non solo la
possibilità di vedere dal -vivo direttamente i lavori e i quadri degli
artisti importanti di cui si parlaVa nelle discussioni livornesi; ma
sopratutto in quei giorni là ho potuto parlare con molti di questi artisti
italiani e stranieri. scambiare e confrontare con loro le mie i. idee. E'
riflettendo su questi incontri che mi sono reso conto del grado di sviluppo a
cui alcuni artisti erano giunti, mentre ancora noi giovani a Livorno si
discuteva su alcuni problemi di fondo che per loro invece erano già
precedenti storici indiscutibili. Tornato a Livorno le conferme le ho poi
avute con poche persone; a quel punto però le mie esigenze erano aumentate,
mi sentivo carico di idee nuove che volevo immediatamente confrontare
attraverso il dialogo e direttamente con il lavoro. Da noi invece le manifestazioni continuavano ad essere
sporadiche. A Livorno è mancata un'informazione continua, in senso critico e
didattico nei riguardi delle correnti dell'arte moderna. I nostri Enti locali
e gli amministratori non si sono impegnati e sufficienza. Il maggior lavoro
dì diffusione delle novità in arte è stato quasi sempre disimpegnato da
gallerie private e dai Gesuiti con il centro del Grattacielo (che oggi è
chiuso). Nel '60 quasi tutti gli artisti validi come Nigro, Marchegiani,
Martini, Ercolini erano emigrati ed i contatti e gli scambi di idee
avvenivano solo tra i pochi superstiti. D. ‑ Per la tua
generazione questo ha significato la perdita di punti di appoggio, di scambio
di vedute? R. ‑ Livorno ha una particolarità. Sai non è poi molto
vero che oggi non ci siano più persone valide o qualificate; è vero però che
queste sono raggruppate in ghetti, in clan. Intellettuali, artisti, critici,
poeti, vivono e lavorano gli uni separati dagli altri. In questo modo manca
lo scambio, l'informazione, il dialogo. Secondo me è diventato indispensabile
un centro di cultura che metta a disposizione di quanti abbiano a cuore la
cultura, spazio, materiali e occasioni, perchè queste persone si incontrino, parlino e magari si scontrino
anche. Il nuovo museo di Villa Maria, di recente istituzione, potrebbe essere
in questo una specie di linfa vitale
di informazione per la città su quello che succede fuori in centri simili e
per quello che avviene in città. Infatti quando ho saputo che a Livorno si apriva il museo
progressivo (nel quale sono entrati per ora solo i livornesi emigrati come a
premiarli per questo fatto!!) ho pensato che a Livorno sarebbe iniziata una
nuova era... D. ...Una nuova era moderna
... R. ...No! Che sarebbe scattata una molla, data fiducia agli
operatori culturali, data anche a loro la possibilità di esprimersi (ma non solo
per i livornesi). E’stato un atto di coraggio di poche persone alle quali va
tutta la mia stima e dalle quali mi aspetto molto. Questo museo secondo me
non è caduto come la pioggia. C'erano già le premesse. Da molti anni a
Livorno si faceva un'attività a livello nazionale, basterebbe ripetere i nomi
di cui ho parlato prima, ed il
museo è nato tenendo conto delle esigenze della parte più avanzata della
città. Il suo contributo sarà
notevole e decisivo per
una svolta culturale della quale c'è estremamente e urgentemente bisogno per
far uscire la città dalla palude della tradizione che la soffoca. Ma tutto
questo sarà possibile a patto che sia spregiudicato
e aperto :alle operazioni contemporanee, respingendo qualsiasi infiltrazione
provinciale e dilettantesca. Un centro che organizzi mostre e
dibattiti sulle più importanti tendenze culturali di oggi, perchè anche i
giovani in via di formazione ne usufruiscano. Non tutti hanno la possibilità
di viaggiare e di trasferirsi altrove o di poter stare due giorni a Venezia
ogni due anni, oppure di andare a Milano o a Roma in occasione di
mostre. Secondo me d'arte è informazione, questo è un principio di base per
il mio modo di intendere l'arte. Se l'arte quindi è informazione, chi non ha
informazione non può né comprenderla né tantomeno farla Questo museo se
assolverà a questa sua funzione di informatore, portando qui informazioni da
fuori e aiutando quanti elaborano qui le informazioni ricevute, dal ‑campo
internazionale e nazionale, può contribuire notevolmente alla crescita
culturale della città. D. ‑ Sento molti se e forse mentre parli.
Non pensi che il successo popolare «inferiore alla attese» del museo, sia
solo dovuto ad una mancanza di interesse e quantomeno di curiosità dei nostri
concittadini nei confronti dell'arte moderna? R. ‑ Non dobbiamo dimenticarci che gli artisti di oggi
lavorano per gli uomini di oggi e di conseguenza per quelli di domani. La
mancanza di «curiosità», come dici te, dei nostri contemporanei costringerà
gli uomini di domani ad un doppio lavoro. Quanta fatica sprecata inutilmente!
Ma penso che questa situazione sia un fenomeno derivato solo dalla mancanza
di informazione e di formazione. Il successo delle varie manifestazioni
artistiche alla Casa della Cultura, alla Fortezza, organizzate con il
patrocinio dei nostri Enti locali, dimostra l'orientamento degli
organizzatori, i qua,li si adeguano alle esigenze delle tendenze più diffuse
tra le masse (quindi più gente più successo) dimenticando il concetto
fondamentale: l'educazione a vedere e a fruire tutta l'arte. Il nostro museo
ha trovato delle ostilità per la mancanza di preparazione da parte del
pubblico a quel tipo di proposta artistica. Ad un linguaggio ai troppi
sconosciuto, ma che esiste ed è un dato di fatto da più di settanta anni.
L'arte moderna non deve restare un fatto culturale per poche persone. Anche
perchè nei prossimi venti anni sarà già storia. E nessuno, al giorno d'oggi,
può permettersi il lusso di ignorare la storia che lo ha preceduto e che sia
vivendo, a prescindere dal fatto che essa sia stata e sia negativa o
positiva. C'è in molti pigrizia mentale, troppe persone non si vogliono
sforzare a pensare ed accettano a priori la soluzione del problema a loro
posto. L'arte moderna invece, nella maggioranza dei casi, costringe il
pubblico a riflettere su cosa vede. Poi c'è il discorso di chi confonde
l'arte impegnata con l'arte politica. D. ‑ Pensi che l'arte
debba essere impegnata? R. ‑ Sicuramente si. Un artista deve impegnarsi
ideologicamente ed artisticamente. L'arte moderna ti impegna totalmente
perché è di ricerca, sul piano culturale e tecnico; individualmente dal punto
di vista psicologico e collettivamente dal punto di vista teorico‑informativo.
Secondo me è invece un falso impegno quello proclamato da molti artisti che
si formano alla semplice contemplazione di immagini, più o meno critiche, di
avvenimenti sociali e politici. La realtà dei fatti e dei problemi che stanno
dietro ai fatti che loro dipingono sulla tela si può comprendere meglio, solo
dopo aver indagato e sperimentato su teorie di base, come quelle della
psicologia della forma e della percezione, della teoria delle comunicazioni
di massa e altre. Senza l'apporto di queste teorie, che si occupano in
particolar modo di problemi visuali, si può soltanto illustrare gli
avvenimenti, non certo comprenderne il significato e la loro portata. A
questo proposito ricordo che una volta nella tua galleria, durante
un'inaugurazione, ad una domanda del genere, un'artista che esponeva le sue
opere, rispose che era molto scettico nei confronti della politicizzazione
dell'arte in questo senso. Infatti asseriva che questi artisti lavorano accettando senza rendersi
conto un'opposizione già programmata precedentemente dal sistema, perciò
facilmente controllabile. Livorno, maggio 1977. |
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